RINASCITA GLOBALE

Con il termine antropizzazione si intende l'intervento che l'uomo effettua sull'ambiente naturale, con lo scopo di conformarlo, quindi modificarlo e manipolarlo. La permacultura invece è un metodo per progettare e gestire paesaggi antropizzati in modo che siano in grado di soddisfare bisogni della popolazione quali cibo, fibre ed energia e al contempo presentino la resilienza, ricchezza e stabilità di ecosistemi naturali. Dalla crisi globale alla rinascita locale.

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LA GESTIONE ED IL VALORE DELL’EDERA (HEDERA HELIX)


L’edera è una delle specie vegetali più lussureggianti ed affascinanti della nostra flora autoctona. E’ una liana che può raggiungere anche dimensioni ragguardevoli. In Italia, sono note edere di ben oltre 1,30 m di circonferenza a petto d’uomo!, E’ una specie caratteristica di siepi e boschi. Nei boschi viene facilitata dal taglio, in qual caso essa può prolificare a tal punto da poter essere talvolta percepita come peste, come infestante.

Proprio per la sua eleganza ed appariscenza, questa pianta è capace di creare delle straordinarie vedute paesaggistiche. La comune edera selvatica (Hedera helix) è la più nota ed è la piu semplice da trovare nei giardini. Poi ci sono altre specie e le varie cultivar ornamentali: come le edere variegate, cangianti, dorate e, marmoree, utilizzate specificamente per abbellire parchi e giardini o pergolate. L’edera in natura si sviluppa aggrappandosi ai grandi alberi, promuovendo un ecosistema per l’avifauna e per gli insetti. La sua fioritura è molto amata dalle api e da altri insetti impollinatori; . è una pianta amata dagli erbivori (domestici e selvatici) che si cibano delle foglie; è amata dagli uccelli per le bacche carnose e appariscenti. Un tempo era specie coltivata od utilizzata recisa, per le uccellande, per attirare gli uccelletti (di norma passeriformi) durante la pratica di caccia detta uccellagione. La sua rusticità resistenza e tenacia è nota conosciuta dalla notte dei
tempi. La sua velocità di crescita è impressionante e in poco tempo può arrivare a ricoprire aree boschive, alberi caduti, diventando estremamente importante per l’evoluzione naturale del bosco.

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foto: Alberto Colazilli

Possiamo distinguere due forme vegetative su una stessa pianta; la forma “sterile” che è più serpeggiante, porta sempre foglie più lobate e acuminate e possiede rami che non vanno mai a frutto. A diffrenza della forma “fertile” che ha foglie più intere, è più ramificata e va spesso a frutto. La forma fertile è una forma di espansione ed esplorazione del territorio che alle giuste condizioni di
luce e umidità genera forme fertili. Non sembra sia altrettanto possibile il procedimento opposto.

Se nel bosco l’edera ha un suo valore paesaggistico ed ecologico, in ambiente urbano, in un parco pubblico o nel privato il discorso può cambiare radicalmente. In questa situazione si dovrebbe parlare di corretta manutenzione e di controllo costante degli esemplari di edera, soprattutto quando vanno a ricoprire interi alberi o a dominare troppo nel giardino. In questi casi, bisogna intervenire per
ridare il giusto equilibrio. Questo, in primis, poiché l’edera non è affatto un parassita, essendo esclusivamente autonoma nel rifornirsi di acqua e zuccheri, come tutte le piante non parassite. Però essendo una liana, con il tempo può creare problemi di eccessivo ombreggiamento e di appesantimento; i quali possono scaturire problemi fisiologici e di stabilità agli alberi. Proprio per via della sua tenacia, d’altronde, l’edera riesce a resistere anche in alle condizioni di degrado ambientale, restando tenacemente aggrappata a pali, muri, reti ed arbusti. L’edera si arrampica solo alla ricerca di luce. In buone condizioni, vegeta anche per terra, facendo parte del manto erboso, come nei boschi.

Infatti nel bosco, l’edera indica condizioni naturali quando è nella sua forma sterile, strisciando per terra come un’erba. Il taglio la stimola nello svilupparsi nella sua forma fertile, invadendo le chiome o quel che ne rimane dopo il taglio; potendo diventare un problema per gli alberi. Stessa cosa vale per gli alberi isolati o nelle siepi. Per quanto riguarda la gestione dell’edera su alberi monumentali di notevole interesse paesaggistico l’opera migliore è quella di controllarla nel miglior modo possibile, impedendo che possa togliere luce nelle parti aree della pianta e quindi farla deperire. Fino anche alla decisione di eliminarla completamente. Questa estrema ratio, deve essere un opera ben ponderata e realizzata con molta delicatezza, per non compromettere o danneggiare l’albero e lavorare in sicurezza. Basta riuscire ad intaccare e tagliare tutte le connessioni da terra, senza doverla staccare. Essa seccherà e si staccherà da sola pian piano in qualche anno. Se ben gestita e controllata, l’edera cresce sul tronco fino a una certa altezza e può diventare anche interessante esteticamente, dando un valore aggiunto all’albero . L’edera in parchi e giardini può essere tranquillamente utilizzata e gestita per ricoprire mura, divisori e versanti spogli o per la lotta a arbusti e piante infestanti. Può essere utilizzata anche per decorare strutture che hanno poco valore estetico o per isolarle dai caldi estivi, creando ombra fresca.

Non dimentichiamo che l’edera è una buona alleata, anche per controllare e combattere varie specie che possono essere infestanti, anche esotiche e legnose, come Ailanto (Ailanthus altissima) e robinia (Robinia pseudacacia), così come osservato a piu riprese dagli autori e come sperimentato successivamente nel Giardino dei Ligustri, parco storico a Loreto Aprutino (PE) e alla Riserva Regionale Sorgenti del Pescara a Popoli (PE), ad esempio, con un discreto successo. Non è facile capire, pertanto, come mai per alcuni giardinieri o per diversi paesaggisti, l’edera debba rappresentare sempre un problema, con un eccesso di pregiudizio e superficialità. Bisogna certamente, come detto fin ora, saper fare i dovuti distinguo e le giuste considerazioni, segiute da corrette azioni a riguardo.

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foto: Alberto Colazilli

Spesso si crede che l’edera possa far crollare le case, insinuarsi e penetrare negli alberi o nei muri. In realtà la caratteristica dell’edera è la sua capacità di aggrapparsi sugli alberi ma senza succhiarne linfa vitale, non essendo un parassita. Per chi invece ha copertura di edera su case e
palazzi la mitigazione ambientale è assicurata perchè questa pianta oltre essere coibentante è pure un’ottimo alleato nella lotta all’inquinamento e alle polveri sottili in città. Per l’edera in sé, non è facile sgretolare o penetrare le mura, però essa può penetrare dei muri e nelle crepe dovute al loro normale deterioramento. Si dice anche che le radici dell’edera possano far crollare le case o addirittura che l’edera è un covo di zanzare o di altri insetti nocivi che poi si insinuano in casa. Tutto falso, l’apparato radicale dell’edera non è affatto capace di questo e gli unici insetti che essa possa attrarre, sono insetti innocui, utili e minacciati dall’inquinamento, come le api. Questo modo di pensare può essere degno solo di chi non conosce o non ama la natura evidentemente. . Si tratta, purtroppo, della classica visone utilitaristica spicciola di incauti cittadini e di addetti ai lavori poco professionali e accondiscendenti. L’edera va apprezzata per la sua utilità nel preservare la biodiversità e migliorare l’ecosistema urbano o del nostro giardino; nonché per la sua eleganza e rusticità. Tutto può essere un problema o una risorsa, e la differenza sta nel buon senso e nel suo adeguato controllo; insomma ad una considerazione e gestione intelligente. Evitando poi di dover intervenire per sfinimento, arrivando a terribili tabulae rasae che suonano piu come atti dissennati o di vendetta, e che portano sempre e soltanto degrado del territorio e all’ impoverimento del bene pubblico o privato.

 

Alberto Colazilli, Kevin Cianfaglione, Piera Lisa Di Felice

Coordinamento Nazionale Alberi e Paesaggio Onlus

fonte http://www.conalpa.it/articoli-e-saggi-su-paesaggio-e-natura/articoli-tematici/articoli-su-boschi-e-foreste/la-gestione-dell-edera-e-il-suo-valore-ambientale-e-ornamentale

Selvicoltura o “SelviCultura” – La Biodiversità Maltrattata


IL TAGLIO DEI BOSCHI E LA RIDUZIONE DELLA BIODIVERSITA’
di Dionisia De Santis
Gli alberi rappresentano la forma vivente terrestre meglio riuscita. Le varie forme di boschi e di foreste costituiscono tra i più ricchi ecosistemi esistenti del Pianeta, capaci di ospitare un’ampia varietà di esseri viventi. Essi sono essenziali per il mantenimento degli equilibri e dei cicli biogeochimici del Pianeta; per compensare le cariche elettriche tra ionosfera e superficie terrestre.
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I boschi costituiti da alberi secolari si definiscono boschi vetusti. La definizione di boschi vetusti può essere applicata anche a popolamenti forestali che in passato sono stati utilizzati dall’uomo, ma che attualmente sono molto vecchi e in condizioni di buona naturalità, avendo avuto la possibilità di evolversi per decenni in assenza di intervento antropico, come ad esempio è avvenuto per alcune aree boschive presenti soprattutto nell’area interna del Cilento, alle falde del Monte Cervati. Questi boschi, oltre a conferire un notevolissimo pregio naturalistico a tutto il territorio cilentano, svolgono un ruolo ecologico fondamentale. Essi rappresentano, in termini di Biodiversità sia a livello di specie che di paesaggio, un valore inestimabile.

Alcuni affermano che il taglio sia addirittura necessario per meglio mantenere la cura dei boschi, ma non è così. La Natura è di gran lunga più saggia del nostro operare e quindi sa bene come agire per conservare in perfette condizioni il bosco. Ed è una presunzione solo pensare di sostituirci minimamente ad essa. Ci sono diversi motivi per effettuare i tagli dei boschi, ma certamente non per mantenerli in “salute”.
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Riguardo a questo vale la pena sottolineare, come regola generale, che le pratiche selvicolturali, qualora siano applicate a ecosistemi forestali naturali, comportano una riduzione della Biodiversità. Biodiversità che raggiunge il massimo livello nelle fasi di senescenza e di crollo degli alberi, quelle che i boschi sottoposti a utilizzazioni non raggiungono. Si tratta di un fatto di grande rilevanza, perché il legno di alberi morti in piedi o atterrati, permette la proliferazione di popolazioni di uccelli, licheni, insetti xilofagi (che a loro volta rappresentano il nutrimento di uccelli altrimenti destinati a scomparire), mentre l’abbondanza di necromassa (legno di alberi morti in piedi o atterrati, residui legnosi vari) rende possibile una forte presenza di decompositori (funghi e batteri). La necromassa diventa il punto di innesto di catene di detrito, che trovano scarse opportunità per proliferare nel caso di prelievi legnosi basati su turni di utilizzazione che anticipano i cicli naturali, in modo da ottenere la massima produzione legnosa. Si aggiunga che, per soddisfare le esigenze del maggior numero di organismi collegati, del legno morto non solo è necessario conservare grandi quantità, ma anche differenti tipi e dimensioni, soprattutto in modo continuo nel tempo (CHRISTENSEN et al., 2005).

La necromassa, inoltre, favorisce i processi pedogenetici (l’insieme di processi fisici, chimici e biologici che portano, nel corso del tempo, alla formazione del suolo) e il mantenimento della fertilità dei suoli. (ECOLOGIA FORESTALE, elementi di conoscenza dei sistemi forestali applicati alla selvicoltura; Marco Paci, Edagricole 2011).

Gli alberi vecchi, spesso dotati di cavità, sono habitat decisivo per il rifugio, la nutrizione e la riproduzione di molte specie faunistiche: oltre agli uccelli e agli insetti anche mammiferi, rettili, ecc. Vive sui vecchi tronchi di faggio uno dei più belli e vistosi coleotteri il raro Cerambice del Faggio (Rosalia alpina), specie minacciata di estinzione e, pertanto, tutelata dall’Unione Europea.

Le tranquille e remote foreste delle montagne più impervie sono abitate anche dalla Martora (Martes martes), uno dei piccoli Mammiferi più belli e affascinanti delle nostre montagne e dal Lupo (Canis lupus).
La conservazione dei boschi vetusti è fondamentale. Essi rappresentano, attraverso la complessità degli ecosistemi, una importante lezione di vita per ognuno di noi, e anche per i tecnici forestali, perché è dall’osservazione di ciò che avviene in natura che si prende spunto anche per la selvicoltura. I boschi vetusti sono autentici tesori da preservare e valorizzare nel modo più rispettoso possibile.

DIO RICICLA E IL DIAVOLO BRUCIA: RIFIUTI ZERO? SI PUO’ FARE!


Partiamo da un dato di fatto, cioè, che la NATURA NON PRODUCE RIFIUTI e che i RIFIUTI SONO UN’INVENZIONE DELL’UOMO!

I RIFIUTI NON SONO UN PROBLEMA TECNOLOGICO SONO UN PROBLEMA DI PROGETTAZIONE INDUSTRIALE.

Viviamo su questo pianeta come se ne avessimo un altro su cui trasferirci…

Non possiamo continuare a vivere in una società “usa e getta” su un pianeta finito.

Con le discariche, quelle fatte bene e a norma di legge, non facciamo altro che SOTTERRARE le prove.

Gli INCENERITORI non fanno che BRUCIARE le prove.

Dobbiamo affrontare il vero problema …

Il problema non è:  “COME ELIMINARE I RIFIUTI”,  ma piuttosto come NON produrli.

Gli inceneritori producono CENERI TOSSICHE !!!

 

Gli inceneritori producono GAS TOSSICI

 

Gli inceneritori producono NANOPARTICELLE TOSSICHE

di seguito una presentazione del Prof. Paul Connett del 2006 che potete scaricare anche i formato pdf cliccando QUI

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Ma chi è PAUL CONNETT:

Paul Connett, oltre ad essere l’ideatore della strategia “rifiuti zero”, è professore emerito di chimica ambientale all’Università St Lawrence di Canton, New York. Negli ultimi venti anni si è occupato di rifiuti, con particolare riferimento ai rischi collegati all’incenerimento, ed allo studio di alternative più sostenibili.

Le sue proposte non hanno nulla di eccezionale e spesso non rappresentano in assoluto una novità. Un esempio è l’estensione di responsabilità del produttore che costringe le imprese a ideare dei beni che siano completamente riciclabili. Ma comunque la loro applicazione in Australia, Nuova Zelanda, California, ed in città come San Francisco – in Italia Capannori – ha portato ad ottimi risultati.

La prima città a rifiuti zero è in Giappone, e si chiama Kamikatsu.

A qualcuno sembrerà strano, ma anche in Italia abbiamo dei casi che si avvicinano al record giapponese. Il comune di Capannori, di cui abbiamo scritto nel post Capannori, primo Comune italiano a rifiuti zero, ha raggiunto l’82% di raccolta differenziata (RD) e vuole arrivare a non produrre rifiuti entro il 2020.

Ma c’è anche chi ha fatto meglio. Nella provincia di Cosenza, Piane Crati è riuscita ad avere il 93% di raccolta differenziata dei rifiuti. Nel paese non ci sono più cassonetti. Il comune li ha tolti da un annetto e la raccolta viene fatta porta a porta. In ogni casa dei circa duemila abitanti ci sono diversi contenitori, dove è possibile raccogliere dalla carta alle pile scariche.

Secondo il sindaco Michele Ambrogio “i bambini sono stati il motore che l’amministrazione ha trovato all’interno delle famiglie”.

A loro si sono aggiunti in seguito i risparmi nella tassa rifiuti. Qualche anno fa l’amministrazione pagava per la sua immondizia 2.000 euro al mese. Oggi sono tra i 12 e i 15 euro mensili.