RINASCITA GLOBALE

Con il termine antropizzazione si intende l'intervento che l'uomo effettua sull'ambiente naturale, con lo scopo di conformarlo, quindi modificarlo e manipolarlo. La permacultura invece è un metodo per progettare e gestire paesaggi antropizzati in modo che siano in grado di soddisfare bisogni della popolazione quali cibo, fibre ed energia e al contempo presentino la resilienza, ricchezza e stabilità di ecosistemi naturali. Dalla crisi globale alla rinascita locale.

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PIANTE INDICATRICI – RUBUS ULMIFOLIUS – ROVO (MORA)


RUBUS ULMIFOLIUS – ROVO (MORA)

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E’ un’ indicatrice di aree agricole o forestali abbandonate. Cresce in terreni saturi di sostanza organica di origine vegetale accumulata nel tempo, poveri di azoto e privi sostanza organica di origine animale. Spesso, in seguito all’abbattimento dei livelli di azoto nitrico da parte di specie erbacee nitrofile, il rovo spunta come arbusto pioniere preparando il suolo per il salto da ecosistema “erbaceo” o arbustivo a quello forestale, stimolando l’incremento di funghi saprofiti, attinomiceti e tutte quelle forme di vita microbica tipiche dei sistemi arborei.

 

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L’apice vegetativo del rovo che si autointerra verso agosto per poi radicare e far partire nuove ramificazioni: propaggine apicale

L’apparato radicale fascicolato ma robusto ha una notevole capacità di creare aggregati stabili, pompando grandi quantità di essudati radicali nel suolo e, in congiunzione con la fitta chioma, di bloccare l’erosione di suoli malconci. I rami spinosi proteggono i dintorni dalla maggior parte degli animali più grandi, così permettendo al suolo di rigenerarsi da compattamento e altre condizioni chimico-fisico degenerative.

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Un onda di rovi precede l’arrivo del bosco su un pascolo. I margini tra pascolo e bosco rappresentano le aree più biodiverse e con il maggior potenziale produttivo. come utilizzarli al meglio?!

I ricchi frutti e le abbondanti fioriture attirano uccelli, insetti e piccoli animali, che grazie alla loro attività e le loro deiezioni trasformano e riattivano il suolo del roveto..

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Frutti – More

I semi di altre Rosacee ed altri alberi (come ad esempio la quercia) vengono sotterrati al sicuro dai roditori nella soffice terra generatasi grazie alla spiccata attività biologica del rovo.

Questi alberi ed arbusti, crescono lentamente ma protetti dagli stress meteorologici e dagli animali, ed una volta raggiunta la luce, oscurano progressivamente il rovo, che non amando l’ombra, rallenta la sua attività.

Come sfruttare la presenza del rovo?

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Semina autunnale a spaglio di frumento antico in un roveto misto a verga d’oro successivamente tagliato. Il frumento cresce durante il periodo di riposo vegetativo del rovo; in primavera il cereale leva verso l’alto e ad aprile, il rovo butta i primi germogli dalla corona di radici. Al tempo del raccolto si recidono solo le spighe lasciando la paglia in piedi. I rovi cresceranno attraverso producendo buoni quantitativi di biomassa che mescolandosi alla paglia fornirà un nuovo fantastico strato di pacciamatura per i cereali che verranno riseminati l’autunno seguente.

fonte foto e testo (eccetto per foto frutti) : Terra Organica

oppure : http://www.terraorganica.it/

LA GESTIONE ED IL VALORE DELL’EDERA (HEDERA HELIX)


L’edera è una delle specie vegetali più lussureggianti ed affascinanti della nostra flora autoctona. E’ una liana che può raggiungere anche dimensioni ragguardevoli. In Italia, sono note edere di ben oltre 1,30 m di circonferenza a petto d’uomo!, E’ una specie caratteristica di siepi e boschi. Nei boschi viene facilitata dal taglio, in qual caso essa può prolificare a tal punto da poter essere talvolta percepita come peste, come infestante.

Proprio per la sua eleganza ed appariscenza, questa pianta è capace di creare delle straordinarie vedute paesaggistiche. La comune edera selvatica (Hedera helix) è la più nota ed è la piu semplice da trovare nei giardini. Poi ci sono altre specie e le varie cultivar ornamentali: come le edere variegate, cangianti, dorate e, marmoree, utilizzate specificamente per abbellire parchi e giardini o pergolate. L’edera in natura si sviluppa aggrappandosi ai grandi alberi, promuovendo un ecosistema per l’avifauna e per gli insetti. La sua fioritura è molto amata dalle api e da altri insetti impollinatori; . è una pianta amata dagli erbivori (domestici e selvatici) che si cibano delle foglie; è amata dagli uccelli per le bacche carnose e appariscenti. Un tempo era specie coltivata od utilizzata recisa, per le uccellande, per attirare gli uccelletti (di norma passeriformi) durante la pratica di caccia detta uccellagione. La sua rusticità resistenza e tenacia è nota conosciuta dalla notte dei
tempi. La sua velocità di crescita è impressionante e in poco tempo può arrivare a ricoprire aree boschive, alberi caduti, diventando estremamente importante per l’evoluzione naturale del bosco.

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foto: Alberto Colazilli

Possiamo distinguere due forme vegetative su una stessa pianta; la forma “sterile” che è più serpeggiante, porta sempre foglie più lobate e acuminate e possiede rami che non vanno mai a frutto. A diffrenza della forma “fertile” che ha foglie più intere, è più ramificata e va spesso a frutto. La forma fertile è una forma di espansione ed esplorazione del territorio che alle giuste condizioni di
luce e umidità genera forme fertili. Non sembra sia altrettanto possibile il procedimento opposto.

Se nel bosco l’edera ha un suo valore paesaggistico ed ecologico, in ambiente urbano, in un parco pubblico o nel privato il discorso può cambiare radicalmente. In questa situazione si dovrebbe parlare di corretta manutenzione e di controllo costante degli esemplari di edera, soprattutto quando vanno a ricoprire interi alberi o a dominare troppo nel giardino. In questi casi, bisogna intervenire per
ridare il giusto equilibrio. Questo, in primis, poiché l’edera non è affatto un parassita, essendo esclusivamente autonoma nel rifornirsi di acqua e zuccheri, come tutte le piante non parassite. Però essendo una liana, con il tempo può creare problemi di eccessivo ombreggiamento e di appesantimento; i quali possono scaturire problemi fisiologici e di stabilità agli alberi. Proprio per via della sua tenacia, d’altronde, l’edera riesce a resistere anche in alle condizioni di degrado ambientale, restando tenacemente aggrappata a pali, muri, reti ed arbusti. L’edera si arrampica solo alla ricerca di luce. In buone condizioni, vegeta anche per terra, facendo parte del manto erboso, come nei boschi.

Infatti nel bosco, l’edera indica condizioni naturali quando è nella sua forma sterile, strisciando per terra come un’erba. Il taglio la stimola nello svilupparsi nella sua forma fertile, invadendo le chiome o quel che ne rimane dopo il taglio; potendo diventare un problema per gli alberi. Stessa cosa vale per gli alberi isolati o nelle siepi. Per quanto riguarda la gestione dell’edera su alberi monumentali di notevole interesse paesaggistico l’opera migliore è quella di controllarla nel miglior modo possibile, impedendo che possa togliere luce nelle parti aree della pianta e quindi farla deperire. Fino anche alla decisione di eliminarla completamente. Questa estrema ratio, deve essere un opera ben ponderata e realizzata con molta delicatezza, per non compromettere o danneggiare l’albero e lavorare in sicurezza. Basta riuscire ad intaccare e tagliare tutte le connessioni da terra, senza doverla staccare. Essa seccherà e si staccherà da sola pian piano in qualche anno. Se ben gestita e controllata, l’edera cresce sul tronco fino a una certa altezza e può diventare anche interessante esteticamente, dando un valore aggiunto all’albero . L’edera in parchi e giardini può essere tranquillamente utilizzata e gestita per ricoprire mura, divisori e versanti spogli o per la lotta a arbusti e piante infestanti. Può essere utilizzata anche per decorare strutture che hanno poco valore estetico o per isolarle dai caldi estivi, creando ombra fresca.

Non dimentichiamo che l’edera è una buona alleata, anche per controllare e combattere varie specie che possono essere infestanti, anche esotiche e legnose, come Ailanto (Ailanthus altissima) e robinia (Robinia pseudacacia), così come osservato a piu riprese dagli autori e come sperimentato successivamente nel Giardino dei Ligustri, parco storico a Loreto Aprutino (PE) e alla Riserva Regionale Sorgenti del Pescara a Popoli (PE), ad esempio, con un discreto successo. Non è facile capire, pertanto, come mai per alcuni giardinieri o per diversi paesaggisti, l’edera debba rappresentare sempre un problema, con un eccesso di pregiudizio e superficialità. Bisogna certamente, come detto fin ora, saper fare i dovuti distinguo e le giuste considerazioni, segiute da corrette azioni a riguardo.

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foto: Alberto Colazilli

Spesso si crede che l’edera possa far crollare le case, insinuarsi e penetrare negli alberi o nei muri. In realtà la caratteristica dell’edera è la sua capacità di aggrapparsi sugli alberi ma senza succhiarne linfa vitale, non essendo un parassita. Per chi invece ha copertura di edera su case e
palazzi la mitigazione ambientale è assicurata perchè questa pianta oltre essere coibentante è pure un’ottimo alleato nella lotta all’inquinamento e alle polveri sottili in città. Per l’edera in sé, non è facile sgretolare o penetrare le mura, però essa può penetrare dei muri e nelle crepe dovute al loro normale deterioramento. Si dice anche che le radici dell’edera possano far crollare le case o addirittura che l’edera è un covo di zanzare o di altri insetti nocivi che poi si insinuano in casa. Tutto falso, l’apparato radicale dell’edera non è affatto capace di questo e gli unici insetti che essa possa attrarre, sono insetti innocui, utili e minacciati dall’inquinamento, come le api. Questo modo di pensare può essere degno solo di chi non conosce o non ama la natura evidentemente. . Si tratta, purtroppo, della classica visone utilitaristica spicciola di incauti cittadini e di addetti ai lavori poco professionali e accondiscendenti. L’edera va apprezzata per la sua utilità nel preservare la biodiversità e migliorare l’ecosistema urbano o del nostro giardino; nonché per la sua eleganza e rusticità. Tutto può essere un problema o una risorsa, e la differenza sta nel buon senso e nel suo adeguato controllo; insomma ad una considerazione e gestione intelligente. Evitando poi di dover intervenire per sfinimento, arrivando a terribili tabulae rasae che suonano piu come atti dissennati o di vendetta, e che portano sempre e soltanto degrado del territorio e all’ impoverimento del bene pubblico o privato.

 

Alberto Colazilli, Kevin Cianfaglione, Piera Lisa Di Felice

Coordinamento Nazionale Alberi e Paesaggio Onlus

fonte http://www.conalpa.it/articoli-e-saggi-su-paesaggio-e-natura/articoli-tematici/articoli-su-boschi-e-foreste/la-gestione-dell-edera-e-il-suo-valore-ambientale-e-ornamentale

FORESTE PRIMARIE (VETUSTE): stabilizzano la CO2 ed il clima sulla Terra


GLI ALBERI E LE FORESTE VETUSTE

file: foreste_vetuste

“E ‘importante che noi comprendiamo i processi che influenzano e regolano i climi del passato e il nostro studio fa un importante passo avanti nella comprensione di quanto sia complessa la vita delle piante della Terra che regolano e modificano il clima che conosciamo sulla Terra oggi “

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/25/Particolare_della_foresta_di_faggi_-_Parco_Naturale_dei_Monti_Aurunci.jpg/800px-Particolare_della_foresta_di_faggi_-_Parco_Naturale_dei_Monti_Aurunci.jpg

Particolare della foresta di faggi – Parco Naturale dei Monti Aurunci

Ricercatori britannici hanno identificato un meccanismo biologico che potrebbe spiegare come l’anidride carbonica atmosferica della Terra e il clima sono stati stabilizzati nel corso degli ultimi 24 milioni di anni. Quando i livelli di CO2 sono diventati troppo bassi per le piante per crescere bene , le foreste sembrano aver mantenuto il clima sotto controllo rallentando la rimozione di anidride carbonica dall’atmosfera . I risultati sono ora pubblicati in Biogeosciences , una rivista ad accesso aperto della European Geosciences Union ( EGU ) . (testo astratto pubblicato qui sotto)

“Quando la concentrazione di CO2 nell’atmosfera diminuisce , la Terra perde il suo effetto serra , che può portare a condizioni glaciali “, spiega l’autore Joe Quirk dell’Università di Sheffield . “Negli ultimi 24 milioni di anni , le condizioni geologiche erano tali che la CO2 atmosferica potrebbe essere scesa a livelli molto bassi – ma non scendono al di sotto di una concentrazione minima di circa 180-200 parti per milione. Perché ? ”

fonte: NOAA

fonte: NOAA

Prima dell’avvento dei combustibili fossili , i processi naturali controllavano l’anidride carbonica atmosferica in eccesso . Le eruzioni vulcaniche , ad esempio , rilasciavano CO2 , mentre fenomeni atmosferici sui continenti la riumuovevano dall’atmosfera nel corso di milioni di anni . Agenti atmosferici che provvedevano alla scomposizione dei minerali all’interno di rocce e terreni , molti dei quali silicati . I Silicati cosi formati a contatto con l’acido carbonico ( pioggia e CO2 atmosferica ), contribuivano in un processo per rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera. Inoltre, i prodotti di queste reazioni erano trasportati negli oceani dai fiumi dove la definitiva formazione di rocce carbonate come calcare bloccavano il carbonio sul substrato marino per milioni di anni ,impedendogli  di formare biossido di carbonio nell’atmosfera .

Le foreste aumentano i fenomeni atmosferici perché gli alberi e i funghi associati alle loro radici , scompongono rocce e minerali nel terreno per ottenere le sostanze nutrienti per la crescita . Il team di Sheffield ha scoperto che quando la concentrazione di CO2 era bassa – a circa 200 parti per milione ( ppm) – gli alberi e funghi erano molto capaci di scomporre i minerali silicati , che potrebbero aver ridotto il tasso di rimozione del CO2 dall’atmosfera .

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“Abbiamo ricreato le condizioni ambientali del passato per gli alberi facendoli crescere a bassa CO2, alla concentrazione attuale, e, ad elevati livelli di CO2 in camere di crescita ad ambiente controllato “, dice Quirk . “Abbiamo utilizzato tecniche di imaging digitale ad alta risoluzione per mappare le superfici dei grani di minerali e valutare come sono stati ripartiti e alterati dai funghi associati con le radici degli alberi . ”

Come riportato in Biogeosciences , i ricercatori hanno trovato che bassi livelli di CO2 nell’atmosfera funzionano come un freno  per gli alberi ‘ fame di carbonio ‘ . Quando la concentrazione di biossido di carbonio scende da 1500 ppm a 200 ppm , i fenomeni  atmosferici diminuiscono di 1/3 , diminuendo la capacità delle foreste di rimuovere la CO2 dall’atmosfera .

I fenomeni atmosferici controllati da alberi e funghi diminuiscono a causa delle basse emissioni di CO2, riducendo cosi la capacità delle piante di effettuare la fotosintesi , il che significa meno carbonio –  e meno energia viene fornita alle radici e ai funghi simbionti. Questo , a sua volta , significa che c’è meno assorbimento dei nutrienti minerali nel terreno , che rallenta i tassi atmosferici nel corso di milioni di anni .

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“Gli ultimi 24 milioni anni si è verificata una crescita delle montagne su Ande e Himalaya , che ha aumentato la quantità di silicati e minerali nel terreno che potrebbero essere stati soggetti a fenomeni atmosferici nel tempo . L’aumento di fenomeni atmosferici delle rocce di silicati in alcune parti del mondo, è probabile che abbiano causato un declino globale dei livelli di CO2 ” , spiega Quirk . Ma la concentrazione di CO2 non è mai sceso al di sotto di 180-200 ppm perché gli alberi e i funghi hanno ridotto la scomposizione dei  minerali a quelle basse concentrazioni di anidride carbonica atmosferica .

“E ‘importante che noi comprendiamo i processi che influenzano e regolano i climi del passato e il nostro studio fa un importante passo avanti nella comprensione di quanto sia complessa la vita delle piante della Terra che regolano e modificano il clima che conosciamo sulla Terra oggi “, conclude Quirk

fonte: http://www.eurekalert.org/pub_releases/2014-01/egu-afs012214.php

Weathering by tree-root-associating fungi diminishes under simulated Cenozoic atmospheric CO2 decline

http://www.biogeosciences.net/index.html

Abstract. Trees dominate terrestrial biotic weathering of silicate minerals by converting solar energy into chemical energy that fuels roots and their ubiquitous nutrient-mobilising fungal symbionts. These biological activities regulate atmospheric CO2 concentrations ([CO2]a) over geologic timescales by driving calcium and magnesium fluvial ion export and marine carbonate formation. However, the important stabilising feedbacks between [CO2]a and biotic weathering anticipated by geochemical carbon cycle models remain untested. We report experimental evidence for a negative feedback across a declining Cenozoic [CO2]a range from 1500 to 200 ppm, whereby low [CO2]a curtails mineral surface alteration via trenching and etch pitting by arbuscular mycorrhizal (AM) and ectomycorrhizal (EM) fungal partners of tree roots. Optical profile imaging using vertical scanning interferometry reveals changes in nanoscale surface topography consistent with a dual mode of attack involving delamination and trenching by AM and EM fungal hyphae on phyllosilicate mineral flakes. This is consistent with field observations of micropores in feldspar, hornblende and basalt, purportedly caused by EM fungi, but with little confirmatory evidence. Integrating these findings into a process-based biotic weathering model revealed that low [CO2]a effectively acts as a “carbon starvation” brake, causing a three-fold drop in tree-driven fungal weathering fluxes of calcium and magnesium from silicate rock grains as [CO2]a falls from 1500 to 200 ppm. The feedback is regulated through the action of low [CO2]a on host tree productivity and provides empirical evidence for the role of [CO2]a starvation in diminishing the contribution of trees and mycorrhizal fungi to rates of biological weathering. More broadly, diminished tree-driven weathering under declining [CO2]a may provide an important contributory mechanism stabilising Earth’s [CO2]a minimum over the past 24 million years.

Citation: Quirk, J., Leake, J. R., Banwart, S. A., Taylor, L. L., and Beerling, D. J.: Weathering by tree-root-associating fungi diminishes under simulated Cenozoic atmospheric CO2 decline, Biogeosciences, 11, 321-331, doi:10.5194/bg-11-321-2014, 2014.

http://www.biogeosciences.net/11/321/2014/bg-11-321-2014.html